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Immagine del redattoreNicola Guida

WALKER EVANS, IL CAMMINO VERSO LA FOTOGRAFIA

Articolo scritto per la rivista STANZE, di cui trovate contatti e link vari QUI



“L’artista è un collezionista di immagini che raccoglie le cose con gli occhi. Il segreto della fotografia è che la macchina assume il carattere e la personalità di chi la tiene in mano. La mente lavora attraverso la macchina”





La strada per un fotografo è un richiamo all’avventura, la strada è un viaggio, e dato che all’arrivo non saremo più quelli che erano partiti perché il viaggio è fuori, ed è dentro, quel conta del viaggio non è mai l’arrivo ma il percorso che abbiamo intrapreso, e che abbiamo fotografato.

Ed ogni viaggio sulla strada intrapreso dalla fotografia deve tutto, per quello che è oggi la fotografia, al contributo di un pioniere, un ribelle che è andato contro stili e convenzioni del tempo, e finendo per essere di ispirazione ad artisti come Diane Arbus o Bruce Gilden, uno che ha cambiato il modo di pensare della sua epoca, dando voce e volto a persone, fatti, situazioni che altrimenti, sarebbero passate inosservate, come l’America rurale schiacciata dalla povertà, o gli anonimi passeggeri della metropolitana di New York.

Nessuno di famoso, nessuno di già visto.

solo persone normali: operai, anziani, impiegati, ritratti in quegli Stati Uniti degli anni trenta travolti dalla grande depressione.

Un pioniere col destino scritto nel proprio nome: walker, camminatore.

Walker Evans nacque a St. Louis nel 1903 in una famiglia decisamente benestante, il padre era un dirigente pubblicitario, della sua infanzia, passata tra Chicago, Toledo e New York si racconta che si dilettava con la pittura, collezionava cartoline illustrate e scattava istantanee della sua famiglia e dei suoi amici con una piccola fotocamera Kodak, una di quelle che dovevi portare al drugstore per far sviluppare le immagini, e farti caricare una nuova pellicola.

Insomma, un'infanzia tranquilla fatta di cose normali, che farebbero dire a quasi tutti “eh si, anch’io”.

Dopo un periodo al Williams College passato a studiare letteratura francese, senza completare gli studi, Evans, affascinato da D.H. Lawrence e James Joyce, Baudelaire e Flaubert si trasferì a New York con l’idea di diventare poeta e romanziere, ma, mentre era a New York, soffrì di quello che potremmo chiamare un blocco dello scrittore, Walker desiderava così tanto scrivere che non riuscì a scrivere una sola parola, come ricordò di quel periodo, “si sentiva in dovere di scrivere così male” che “non riusciva a completare una sola frase”.

Incapace di creare e bisognoso di un lavoro, accettò lavori presso la New York Public Library e molte librerie, lo stipendio era misero, ma in compenso era libero di viaggiare e leggere gratis.

Dopo diversi anni di lavoretti inconcludenti, e poca fortuna nel settore editoriale, il giovane Walker fece le valigie e salpò per Parigi, con la scusa di perfezionare il suo francese, ma con ancora l'intenzione di perseguire i suoi sogni di romanziere.

a Parigi, invece, scrivere era persino più difficile per Evans, ma era un momento di immensa "eccitazione intellettuale" per lui, che venne in contatto con il fotografo Eugene Atget e la sua allieva Berenice Abbott.

Nemmeno un anno dopo, finiti i pochi soldi, era già di ritorno a New York, dove divenne membro di una comunità letteraria emergente che stava diventando sempre più intrecciata con l'arte.

Fece amicizia con Hart Crane, John Cheever e Lincoln Kirstein, che lo spinsero a coltivare il suo interesse per la fotografia, facendolo diventare un amore a tutti gli effetti.

Walker riprese quindi la macchina fotografica, e cercò di indirizzare la sua estetica letteraria, il suo lirismo, la sua ironia, la capacità di descrivere in maniera incisiva quanto vedeva, nella fotografia.

Ed è a New York che iniziò, in quel periodo, a scattare le immagini che divennero poi il corpus di uno dei suoi più importanti progetti, “Many are called”: sbalordito dal numero di persone che incontrava giornalmente sulla metropolitana, e affascinato da quelli che potevano essere i pensieri dietro ai loro sguardi, Walker a un certo punto decise di provare a trasporre con la fotografia quello che passava nelle loro teste…voleva che le persone fossero inconsapevoli di essere osservate, per poterne catturare la grezza vulnerabilità.

Con una fotocamera Contax da 35mm nascosta sotto la giacca, obiettivo infilato in un buco tra due bottoni, e peretta per lo scatto remoto infilata in tasca, Evans scattò alla fine più di seicento immagini di sconosciuti pendolari colti nel loro stato più naturale, senza che nessuno fosse in posa.

Come raccontò successivamente, nella metropolitana le persone tendono ad abbassare le proprie difese:


“la guardia è abbassata e la maschera è tolta” osservò, “ anche più che nelle camere da letto (dove ci sono gli specchi), i volti delle persone sono nudo nella metropolitana”


…con nulla da fare, se non attendere la propria fermata, le persone sono sole coi propri pensieri.

Il progetto venne completato solo nel ‘41, rimanendo inedito per circa 25 anni, quando, con l'introduzione di James Agee, 89 scatti vennero raccolti finalmente in un libro.

Le sue prime fotografie pubblicate furono tre scatti del ponte di Brooklyn, stampate su un libro di poesie del suo amico Crane, degli scatti che gli valsero, in quel periodo, un ingaggio per scattare immagini delle architetture delle case vittoriane di Boston.

Nel 1933 Evans era nuovamente in viaggio, ingaggiato dall’editore Lippincott per scattare delle fotografie a Cuba, da utilizzare per illustrare il libro “il crimine di Cuba” del giornalista di sinistra Charles Beals, aperta critica alla dittatura di Machado, uno di quelli che in confronto, il nostro Mussolini era un chierichetto che canta alla messa di Natale.

Walker accettò l’incarico, ma alle sue condizioni:


"Non sto illustrando un libro, mi piacerebbe solo andare laggiù e fare qualche foto ma non dirmi cosa fare".


A Cuba Evans conobbe Ernest Hemingway, probabilmente attraverso uno dei contatti del giornale di Beals sull'isola.


"Sono stato benissimo con Hemingway", raccontò Evans "Bere ogni sera. Era un pò giù... e aveva bisogno di un compagno di bevute, e io ho ricoperto quel ruolo".


con il vecchio Hem si legò in un rapporto di profonda amicizia, e lo scrittore, in quelle lunghe chiacchierate alcooliche ebbe il merito di plasmare l’approccio alla fotografia di Walker, indirizzandolo verso uno stile più asciutto, semplice, senza fronzoli, come la sua prosa concisa e diretta.

Hemingway addirittura gli prestò dei soldi per prolungare il suo soggiorno sull’isola, Walker passava le notti le notti a bere e chiacchierare con lui, e i giorni a documentare la vita tra le strade dell’Havana, passeggiando avanti e indietro per i portici del Malecon con una macchina fotografica in mano “vestito con un abito leggero, un cappello di paglia e un paio di occhiali perfettamente rotondi”, unendosi alle folle di persone e immergendosi totalmente nei luoghi, suoni e odori, ritraendo pescatori, perdigiorno, mendicanti, ma anche la presenza oppressiva della polizia, spaziando dalla critica sociale, alla sensualità del popolo cubano.


"Quando sei ancora disorientato", scrisse Evans nel suo diario, "noti più cose, come un ubriaco. Sono stato ubriaco di questa nuova città per giorni".


Evans era ben consapevole di essere arrivato a Cuba in un momento di conflitti politici e violenza, e data la brutta aria che tirava sull’isola, temette di non riuscire a portar fuori dall’isola le quattrocento foto scattate in un mese di soggiorno, che potevano essere ritenute troppo critiche verso il governo cubano.

Lasciò 46 delle stampe più compromettenti, che ritraevano apertamente le violenze della polizia di Machado che tentava di sopprimere l’indignazione popolare verso il dittatore, al suo amico Hemingway, e riuscì a lasciare l’Isola senza troppi problemi, al suo ritorno, 31 immagini vennero pubblicate nel libro di Beals, mentre delle foto lasciate a Hemingway, portate via dall’isola in barca dallo scrittore e lasciate nel magazzino di Sloppy Joe’s, il saloon di Key West dove Hem si trovava a bere e scrivere si perse ogni traccia, fino al 2002, quando per caso il nascondiglio venne scoperto, e le fotografie finalmente esposte al pubblico.

L'esperienza cubana favorì in modo significativo l’ulteriore sviluppo della spontaneità e della freschezza del suo stile fotografico, capace di essere documentaristico anche senza l’ausilio di testi, gettando le basi per lo stile e il contenuto del suo meglio noto e influente lavoro successivo.


Nel 1935, La Farm Security Administration assunse Evans insieme ad altri fotografi per documentare gli sforzi di miglioramento del governo nelle comunità rurali, i fotografi della FSA (tra cui Dorothea Lange e Arthur Rothstein) dovevano documentare la vita delle piccole città per dimostrare come il governo si impegnasse per migliorare la situazione socio-economica delle comunità contadine, dopo la crisi del ‘29.

Ai fotografi venivano imposti una serie di parametri estremamente restrittivi per le loro immagini, con tutte le fotografie che dovevano presentare determinate cose e soddisfare determinati criteri, in due parole, la Grande depressione non doveva essere rappresentata per quello che era, ma per come la FSA si immaginava, nel suoi uffici lontani dalla polvere, dai campi, dalla miseria.

A Evans non importava nulla dell’ideologia politica alla base del suo incarico, e nemmeno degli itinerari suggeriti dal suo datore di lavoro, era interessato solo a distillare l’essenza della vita americana.

I suoi scatti per la FDA, eseguiti tra il 1935 e il 1936 con fotocamere 8x10 pollici, che ritraevano di chiese di campagna, negozietti lungo la strada, camere da letto, cartelli sbiaditi e cimiteri rivelano di Evans un enorme rispetto per le tradizioni trascurate dell’uomo comune, e sono considerati di fondamentale importanza per far conoscere alla gente la miseria, i problemi di chi vive nelle campagne.



“quale deve essere il ruolo dell’arte, in un’epoca di sofferenza di massa?” si chiedeva Evans, “creare simboli di speranza per le masse a prescindere da quello che significa per il soggetto ritratto, oppure non accettare compromessi?”


Non c’è una risposta a questa domanda, ma dovremmo pensarci anche noi, quando guardiamo una foto su un libro o una rivista…quello che stiamo guardando è in un certo modo costruito, artificiale?

Sfrutta il soggetto per trasmetterci un diverso messaggio?

Nell’estate del 1936 un suo vecchio amico, il giornalista James Agee,che a quel tempo scriveva per la rivista Fortune, gli propose un viaggio: Agee aveva ricevuto l’incarico di scrivere un articolo sui fittavoli del sud degli USA, Walker, che come fotografo era già affermato, si sarebbe occupato di documentare fotograficamente il viaggio, del resto, era ritenuto l'uomo giusto, secondo la gente di Fortune, dopo il suo viaggio a Cuba, uno bravo a maneggiare il flash al magnesio, tessera da reporter tra i denti come una sciabola da pirata disposto a tutto pur di portare a casa uno scatto.

Evans prese un congedo dalla FDA e partì verso la contea di Hale, in Alabama, per documentare con l’amico scrittore, nei mesi di luglio e agosto, la vita durissima, strangolata dalla povertà, di tre famiglie di coltivatori di cotone in cui si imbatterono per caso, che non erano nemmeno qualificati per ricevere gli aiuti di stato per i poveri programmati dal new deal.

L’articolo avrebbe dovuto trattare della “vita quotidiana e l’ambiente di una famiglia media bianca di contadini”...i due, partiti con l’idea di fare un semplice reportage, si trovarono di fronta a una realtà impossibile da riportare con i normali mezzi espressivi, finendo per passare settimane a documentare la vita di questi tre uomini e delle loro famiglie, immergendosi totalmente, vivendo nelle loro case, condividendo ogni aspetto della loro esistenza, cercando di trasmettere tutto ciò di cui erano testimoni, senza omettere nulla.

Nonostante vennero scambiati per spie sovietiche, Evans e Agee, al posto di fare un bel ritratto dei loro ospiti, fecero parte della loro stessa esistenza.

Al loro ritorno, inutile dirlo, Fortune rifiutò il lavoro, giudicandolo impubblicabile:

troppo crudo, troppo diretto, troppo complesso, troppo vasto,troppo descrittivo, troppo soggettivo, troppo autobiografico.

Troppo reale e troppo completo per il suo autore per essere tagliato o riscritto ad uso e consumo dei lettori di Fortune.

Non era la storia a contenere l’avventura, ma l’avventura a contenere la storia.

Fortune si tenne i diritti del lavoro svolto, e ci vollero anni prima che tutte le note di Agee e gli scatti di Evans venissero alla luce, solo nel 1941, restituiti i diritti a Walker e Agee, tutte le note e le fotografie furono raccolte in un manoscritto che fosse finalmente accettato per la pubblicazione, ma la guerra in Europa, che aveva rilanciato l’economia americana, rese la grande depressione qualcosa di ormai remoto, e poco interessante per il pubblico, già lanciato verso una nuova ricchezza e un nuovo futuro.

“Sia lode ora a uomini di fama”, il loro libro, vendette poco più di 500 copie, nella prima edizione, l’anno successivo 50, una catastrofe editoriale.

Il successo di critica che lo rese un caso letterario lo ebbe solo 20 anni più tardi, quando negli anni ‘60 venne riconosciuto come il capolavoro che è di fotografia e scrittura.

ironicamente, le immagini del libro divennero famose prima in Europa..varcarono i confini italiani, clandestinamente, nel 1939, influenzando una generazione di fotografi e, pochi anni e ispirando perfino gli autori del cinema neorealista.

Le immagini che Evans proponeva, e che tanto colpirono i suoi colleghi italiani ( ma certo non solo loro), erano caratterizzate da una grande attenzione al sociale e da una forte carica di denuncia.

Lo sguardo fotografico di Evans ricercava, per la prima volta, negli scatti di un reportage, l’umana dignità nel mondo che stanno ritraendo, esattamente il contrario di quanto fino a quel momento ricercato dagli editori, scatti sensazionalistici che facessero “colpo”.

Basta aprire il libro e guardare le fotografie per rendersene conto: I soggetti dei suoi scatti non sono mai colti di sorpresa e sono sempre consapevoli di essere fotografati, le immagini sono per lo più frontali e che siano persone o scarni interni domestici o oggetti logorati dall’uso come un paio di scarponi rotti mostrano sempre un tentativo di ricerca di dignità nel quotidiano e nella miseria: tutto ciò che determina e costituisce la quotidianità è catturato dallo sguardo diretto del fotografo.


“La macchina fotografica mi sembra, oltre alla coscienza senza aiuti e armi, lo strumento essenziale del nostro tempo, ecco perchè provo così gran rabbia per gli usi sbagliati che se ne fanno: usi che hanno diffuso una tale corruzione quasi universale della vista che oramai conosco non più di una dozzina d persone vive dei cui occhi mi possa fidare cone dei miei”


Alcune fotografie, che non illustrano il testo, rispondono alle parole di Agee nel tentativo di far emergere anche la bellezza tragica della vita delle tre famiglie di contadini rappresentati: così gli oggetti e gli interni delle case sono trattati quasi religiosamente, una religiosità scarna e composta, che restituisce una individualità e una dignità unica alle famiglie raccontate, senza ridurle a freddi casi di studio o a un popolo abbrutito (come, al contrario, spesso avveniva).

Un’umanità, insomma, ritratta con sofferenza partecipata che però non cerca una risposta empatica nel lettore o una facile commozione.

Tutto all’opposto.

Ricordava Walker Evans nel 1960 del lavoro fatto con l’amico Agee:


“è la riflessione di una risoluta, privata ribellione. La ribellione fu inestinguibile, autolesionista, profondamente di buoni principi, infinitamente gravosa e sostanzialmente senza prezzo”.


Evans continuò a lavorare per la FSA fino al 1938.

Quell'anno, una mostra, “Walker Evans: American Photographs”, una retrospettiva di trecento scatti che copriva i primi dieci anni di lavoro di Evans, si tenne al Museum of Modern Art di New York, fu la prima mostra nel museo dedicata al lavoro di un singolo fotografo.

Il catalogo, che è considerato una bibbia, per chi fotografa, include un saggio di accompagnamento di Lincoln Kirstein, con cui Evans aveva stretto amicizia nei suoi primi giorni a New York.


“Il vero genio della fotografia è colui che attraverso le immagini riesce a raccontare una storia, trasportandoci in un mondo lontano, talmente lontano a volte da sembrare irraggiungibile”


Walker voleva diventare uno scrittore e diventò, grazie alla letteratura, uno dei più grandi fotografi della storia.

Si occupava personalmente dell’editing, della grafica, e della scrittura, fu il primo reporter documentarista, e la sua cura per i dettagli emerge un ogniuno dei suoi scatti, le sue fotografie, in libri, riviste, articoli e saggi, sono in perfetta armonia l’una con l’altra, anche se a un primo sguardo sembrano slegate tra loro, per accompagnare lo spettatore in un viaggio attraverso la storia che vogliono raccontare.

in un tempo in cui c’erano essenzialmente due filosofie, in fotografia, “Documentario vs ritrattista”, il suo lavoro fu proprio una miscela di queste due filosofie, rendendo la quotidianità un capolavoro.

Chiunque si appresta a intraprendere un viaggio dovrebbe imparare a conoscere la sua fotografia, per riuscire a guardare il mondo con la medesima attenzione che lui aveva, come lui stesso disse:


“È il modo di educare il tuo occhio e altro ancora. Osservare, curiosare, ascoltare di nascosto. Morire conoscendo qualcosa. Non si vive a lungo.”


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