Articolo scritto per la rivista STANZE, di cui trovate contatti e link vari QUI
"Le ombre lavorano per me.
Io faccio le ombre.
Io faccio la luce.
Io posso creare tutto con la mia macchina fotografica."
Solitamente non amo le citazioni, suonano alle mie orecchie sempre come ovvietà, fastidiose come le campane della chiesa la domenica mattina.
Del resto, però, credo che ogni tanto abbiamo bisogno di sentirci dire qualcosa di ovvio, se non altro per soffermarci su quello che, preso per ovvio, diventa scontato.
La fotografia non è fatta solo di luce, e per questo questa rubrica si chiama così: “Ombre”.
Quindi benvenuti, mettetevi comodi, continuiamo questo viaggio insieme, che abbiamo iniziato nel numero precedente, parlando di Edward Weston.
Oggi voglio parlarvi un artista che ha rivoluzionato l’estetica della fotografia femminile negli ultimi 50 anni.
Le sue donne sono iper sessualizzate, eppure algide e distanti.
Le sue donne, per prime nella storia della fotografia, trasmettono sensualità e forza, ritratte perfettamente, al limite del pornografico, rendono la figura femminile protagonista assoluta della scena, a un primo sguardo, niente di più niente di meno che al pari di un oggetto costoso, da ammirare, da desiderare per il maschio, sia quello raramente presente nelle immagini che per il maschio spettatore che osserva la fotografia, che ha la chiara percezione di essere relegato a un mero ruolo di voyeur.
Molti oggi sostengono che certe fotografie non andrebbero più mostrate, questa visione distorta del corpo femminile sia diseducativa e fuoriviante, nonostante abbia ispirato generazioni di fotografi venuti dopo di lui.
Ma è veramente così?
Cosa voleva raccontarci l’artista, l’uomo che nacque anonimo, tal Neustädter?
Leggenda vuole che, a otto anni, affidato al fratello maggiore, e che questi, che aveva ben altri progetti piuttosto che badare al noioso e malaticcio fratellino, lo portasse con sé nel quartiere a luci rosse di Berlino dalla allora famosa “Edna la rossa”: un nome, un programma: una virago che sembrava uscita da un film di Jesùs Franco, celebre per la frusta e gli stivali di pelle alti fino al ginocchio…raccontava che fu questa esperienza visiva che lo avvicinò alla fotografia, e per la quale si comprò, a dodici anni, con i suoi primi risparmi, una Agfa, con la quale fotografava le ragazzine nelle piscine degli alberghi termali in cui i genitori lo portavano in vacanza.
Era nato nel 1920, a Berlino.
Ebreo di origine, cresciuto nella buona borghesia berlinese, il padre fabbricava e vendeva bottoni, e sognava per il figlio un avvenire altrettanto di successo, osteggiando quella passione per la fotografia che, a sedici anni, lo portò ad essere espulso dalla prestigiosa scuola americana in cui lo aveva spedito il genitore per il pessimo rendimento scolastico che aveva.
“Mio figlio”, diceva il padre, con una punta di amarezza, “ha fatto clic sulla vita”.
A sedici anni gli toccò quindi cercarsi un lavoro, e lavorò come assistente della celebre fotografa Yva, che era già famosa per la fotografia di moda, ritratto e nudo.Per lui i due anni trascorsi con lei furono fondamentali, sia dal punto di vista tecnico che creativo, ma il nazismo era alle porte, e non bastava fabbricare bottoni per le divise per esser buoni Ebrei, e nel trentotto, alla promulgazione delle leggi razziali, i genitori, data la sua frequentazione con una ragazza ariana che rischiava di farlo deportare, lo imbarcarono su una nave diretta in Cina.
il ragazzo salutò la sua maestra, che sarebbe poi morta in un campo di concentramento pochi anni più tardi, e si fermò a Singapore, dove iniziò a lavorare come fotografo per un quotidiano, dal quale venne licenziato dopo appena due settimane per manifesta incapacità.
Evidentemente il paparazzo non era il suo mestiere, anche se un certo interesse per la fotografica di cronaca gli rimase addosso per gli anni a venire.
Intanto, come in un film, divenne amante di una signora ricchissima con la quale iniziò a viaggiare in oriente fino ad approdare, nel 1940, in Australia.
Per non farsi mancare nulla, il nostro Neustädter si fece un po' di carcere dato che era un cittadino tedesco, e la Germania non era ben vista in quel periodo, e poi venne spedito al fronte.
Nel 1946, dopo cinque anni di guerra, divenne finalmente cittadino australiano, e, incontrato quella che sarà sua moglie per i successivi 50 anni, una modella (ed eccellente fotografa) che ritraeva per lavoro, cambiò identità, semplicemente traducendo in inglese il suo cognome…e nacque nuovamente con il nome con cui tutti ora lo conosciamo: Newton.
Helmut Newton.
Facciamo un salto temporale.
Negli anni ’70, anni di rivoluzione, e di rivoluzione sessuale, il porno era appena sbarcato al cinema, con un film scandaloso e controverso come Gola Profonda che ha iniziato a sdoganare l’atmosfera di proibito, di trasgressione e sedizione in cui la pornografia era immersa.
Newton in quegli anni viveva a Parigi, era un fotografo affermato per conto di French Vogue, e non ancora la rock star della fotografia che conosciamo oggi.
Una serie di gravi problemi di salute tra cui un attacco di cuore, che gli fece scampare la morte per un soffio, sono per lui la nuova occasione per cambiare: la vita è troppo breve per copiare cose già fatte da altri e così, a cinquant’anni, si concentra sulla sola cosa che conta: abbattere il sistema
e battere il “buon gusto”, che considera solo una pessima definizione di un pessimo concetto.
Il buon gusto è la normalizzazione dello sguardo, e il termine “corretto” evoca per me la polizia del pensiero e i regimi fascisti.
La vita non è fatta di buon gusto, le storie si nutrono di imperfezione, degli equilibri – o disequilibri – generati dal potere.
E Newton, come un accorto provocatore, iniziò a spostare in avanti il limite del proibito con calcolata prudenza: non ci sono suoi nudi, sulle riviste, prima degli anni ‘80.
La visione della figura femminile di Newton non venne imposta di colpo, come un’eplosione, qualcosa di istintivo, ma venne creata con una studiata premeditazione, annotata maniacalmente a matita nei suoi taccuini, in lunghe serate di studio.
Le immagini non nascono da una improvvisa lussuria.
Sono progettate a tavolino, tutte.
Newton come uno scolaro disciplinato annotava tutto quelle che dova essere nell’immagine, dallo scenario, agli accessori, persino le gocce di sudore.
Abbandona la Kodachrome, una pellicola dall’effetto troppo patinato, la vita per lui deve essere fotografata con pellicole a grana grossa, la macchina fotografica leggermente inclinata, le donne e gli uomini devono vivere ruoli il più distante possibile dal politicamente corretto.
“Investo molto tempo nella preparazione. Penso a lungo a ciò che voglio realizzare. Ho libri e piccoli quaderni in cui scrivo tutto prima di una seduta fotografica. Altrimenti dimenticherei le mie idee”.
“Io comincio facendo ciò che ho pensato di fare. Poi faccio un giretto e mi chiedo se potrei provare in altri modi. Ma arrivo molto presto a un punto di saturazione in cui tutto ciò mi infastidisce e mi dico che la mia prima idea era quella giusta.”
Le immagini di Newton fuorono le prime a stabilire una connessione diretta tra il sesso e la moda, senza mai superare la linea oltre la quale inizia la volgarità, in uno stile, più tardi, definito "pornografico chic" e le sue famose immagini provocatorie sorpresero il mondo della moda, provocando emozioni ambigue.
Alla vista di nulla di simile a quanto c’era prima di quel momento, gli spettatori sperimentarono quello che possiamo definire un vero shock estetico…le sue donne che scioccavano, imbarazzavano chi le ammirava, sono indecentemente naturali.
Newton era un provocatore, e la sua iconografia divenne la più riconoscibile nel mondo della moda.
La fotografia era per Newton solo un pretesto per mettere sempre più in mostra il corpo femminile fino ad allora castigato, in un continuo gioco di mostrare e nascondere i dettagli più intimi e sensuali delle figure ritratte.
in breve tempo, Newton modificò i canoni stabiliti, creando nuove tendenze che sono diventate tradizioni, e le riviste oggi sono piene, fin troppo forse, di foto erotiche, nelle quali si può percepire la sua influenza estetica.
Di se stesso però raccontava poco, non amava spiegarsi con le parole, raccontava tutto con le fotografie.
Amava ripetere:”bisogna sempre essere all’altezza della propria cattiva reputazione”
Ma chi era il vero Newton?
Un fotografo zero ispirazione e tutto calcolo?
Newton ha sempre preferito lavorare su commissione, sempre impaziente di passare da un servizio all’altro, preferiva i quotidiani e le pubblicità ai magazine…C’era del metodo, nella libidine.
Anche le sue immagini più personali, le scattava nei tempi morti durante i servizi pagati dai rotocalchi; era il suo modo di “fottere il sistema”.
Chi guarda alle sue immagini vede oggi un immaginario prevedibile, e, a un primo sguardo, già visto…in realtà è diventato già visto con il lavoro di quelli che, venuti dopo di lui, ne hanno imitato il lavoro senza neppure capirci molto.
Newton non ha mai mostrato qualcosa che non fosse già presente nell’immaginario maschile occidentale, semplicemente, lo ha sdoganato, rendendolo perfetto.
“le mie fotografie sono sempre a fuoco” amava dire, e non transingeva, i sui scatti sono tecnicamente insuperabili, nonostante non lavorasse quasi mai in studio, e non usasse quasi mai neppure un cavalletto.
Gli ambienti migliori per fotografare sono le case e gli hotel in cui abitava, “perché le donne non vivono di fronte a un fondale bianco”
Era un uomo indifferente?
Indifferente di quello che pensavano o provavano i suoi modelli, che lo definivano un dittatore per come arrivava sul set, controllava che tutto fosse come sa lui stabilito, e si limitava a scattare pochi scatti.
Era solo poco un uomo poco invadente, con i suoi modelli scambiava poche parole, per rompere il ghiaccio e metterli a proprio agio, perchè amava scattare quando i modelli non guardavano, ed erano il più naturali possibile.
Il fotografo trasgressivo dai metodi strafottente nella realtà dei fatti era tutto disciplina e metodo.
Forse era indifferente solo alla storia, persino quella che quasi lo travolse.
Della sua infanzia nella catastrofe del nazismo, disse:”sapevo cosa stava succedendo, ma non me ne fregava nulla”.
Del resto era un ragazzino e il Nazismo deve essergli sembrato più che altro una seccatura, o quasi una provvidenziale congiuntura che gli risparmiò il destino di lavorare nella fabbrica di bottoni del padre, e gli permise di trasformarsi da dilettante in un fotografo professionista senza patria.
Era un incosciente?
Un cinico?
Un provocatore?
Del maggio francese diceva che la cosa che più lo colpì furono i caschi neri, che trovava molto sexy, della polizia.
A Milano, nel ‘68, un giovane Toscani gli fece da assisitente per un lavoro, di lui ricorda, mentre infuriavano le rivolte studentesche “Mi disse: 'Speriamo non succeda nulla alla mia Rolls Royce".
Newton non si fece scrupolo nemmeno a mettere in posa le sue modelle davanti alle lapidi dei morti ammazzati dalla polizia di confine del muro di Berlino.
Da dove nacque quindi l’ispirazione, l’intuizione che lo portò a rivoluzionare la fotografia di moda per decenni a venire?
Era già tutto lì, non gli servì inventare niente, era tutto lì, in se stesso.
Era tutto in quel mondo aristocratico conosciuto da ragazzo, da cui era stato strappato , rimpianto e mitizzato nell’età adulta.
Era nelle ragazzine in piscina, fotografate con l’Agfa a dodici anni.
Le automobili eleganti, gli ambienti barocchi, le lenzuola di seta, gli alteri cani di razza delle sue fotografie erano già lì, nella sua infanzia in quella famiglia di pessimi ebrei, arricchiti, non più praticanti e più fedeli alle teutoniche tradizioni che a Dio, ma fregati dal Nazismo, erano già nelle copie delle riviste per adulti sottratte di nascosto al fratello maggiore e sfogliate compulsivamente chiuso nel bagno.
Come un adolescente qualunque.
l’intuizione che ebbe Newton fu che, in un preciso momento storico/ culturale, con il culo al caldo di una carriera ormai affermata, fosse giunto il momento di raccontare nuovamente, nei corpi perfetti delle sue modelle, quell’immaginario, quel desiderio, quella lussuria che la morale ipocrita e boghese in cui aveva vissuto aveva represso, sublimandola piuttosto in oggetti di lusso.
Newton, con le sue immagini, non ha fatto altro che tradurre(non da solo…non dimentichiamoci che la sua fotografia prende forma a cavallo della rivoluzione sessuale) l’inconscio erotico di una generazione castrata da tradizioni e cultura oscurantista in qualcosa di nuovamente concreto, sdoganando l’imbarazzo per l’ossessione dal sesso e insegnando a non vergognarsene più, facendone piuttosto qualcosa di cui vantarsi e rivendere al popolo, sotto forma di una nuova visione della moda.
“il mio lavoro è frutto di una cultura occidentale, cosmopolita, capitalista, è il mondi in cui sono nato e che continuo a frequentare, l’unico che io capisca”.
La seduzione delle donne di Newton è una deduzione, perchè è già li, nell’immaginario maschile, ed è produzione, tecnica e organizzazione della materia prima a produrre qualcosa di nuovo che accenda nuovamente il desiderio.
Quella che nacque come fotografia di moda e che a lui stava stretta, fu per Newton un mezzo per scoprire sì la figura femminile, ma anche i desideri dell’uomo, così inscindibilmente legati ad essa.
Così l’eleganza del corpo della donna nei suoi scatti si fonde con l’erotismo, e la vita e la sensualità diventano una cosa sola; come pure la veridicità dell’immagine si confonde con la tangibilità dei corpi ritratti.
Newton visse molte vite e migliaia di storie perché, come lui stesso ha raccontato: “Sono come tante altre persone, mi siedo sulla spiaggia o sulla terrazza di un caffè, guardo la gente – soprattutto le donne – e mi invento delle storie. È un buon modo per passare una mezz’ora”.
Anche la morte di Helmut Newton è una storia, raccontata come in una sua fotografia:
Si svolge allo Chateau Marmont, sul Sunset Boulevard di Los Angeles, il Chelsea Hotel della West Coast, nei suoi bungalow ci è morto John Belushi e nella sua piscina sono ambientati i film di Sofia Coppola.
Location perfetta per uno scatto.
La mattina del 23 gennaio 2004, a 83 anni, Newton si schianta contro il muro dell’hotel con la sua Cadillac nuova fiammante, muore sul colpo senza lasciare un appunto, un saluto, si pensa tradito dal suo cuore già malato, ma non è mai stato chiarito se l’incidente sia stato conseguenza di un malore, e con la sua morte è scomparso un grandissimo fotografo,capace di concentrare l’attenzione del mondo dell’arte, capace di dividere il suo pubblico tra chi lo ammirava e chi no, chi lo considerava semplicemente di moda e chi lo considerava un antifemminista (cosa che lui ha sempre negato, dichiarandosi femminista ed assolutamente contrario a tutte le disparità di genere avendo ritratto le donne sempre come parti attive della scena e molto spesso in una posizione di dominio).
Comments