Un'immagine sgranata, scattata in luce diurna.
Due ragazzini, davanti ad un androne.
il più grande dei due, con un’espressione ringhiante ti punta un revolver in faccia ed è pronto ad ammazzarti mentre il più piccolo lo guarda, con un’espressione angelica in volto.
la foto è stata scattata intorno al 1954 a New York, e l’artista che la scattò la definì un autoritratto.
Lui era entrambi i ragazzini, quello arrabbiato, cresciuto come un cane randagio per le strade di New York, capace di qualunque cosa, e quello sensibile, che emigrò a Parigi per dedicarsi a una ricerca artistica che lo portò ad esplorare la scultura, la pittura, il cinema, e la fotografia.
Lui era William Klein.
Nacque a Manhattan nel 1926, ragazzo ebreo in un quartiere irlandese, vorace lettore e frequentatore del MOMA, era uno studente brillante, ma mollò gli studi per arruolarsi nell’esercito, e finire per prestare servizio in Germania e in Francia, a Parigi, dove, alla fine della guerra, nel ‘48, vi si stabilì, iscrivendoti alla Sorbona e studiando pittura con Fernand Léger.
E’ nello stesso anno che si sposò con Jeanne, una ragazza che incontrò nel suo secondo giorno in città, si lasciarono nel 2005, alla sua morte.
Klein dipinse murales, quadri astratti, che furono notati dall’architetto Angelo Mangiarotti, che chiese di riprodurli a casa sua su dei pannelli mobili, Klein, colpito dalla luce mutevole su di essi, decise di fotografarli, entrando per la prima volta in contatto col media fotografico.
Folgorato dalla fotografia, e da quello che una macchina fotografica riusciva a fare con la luce, iniziò la sua carriera come un’irrequieto ribelle, con immagini che sembravano scattate per sbaglio, con immagini sovraesposte, contrasti sbiancati e soggetti in una spontaneità totalmente falsa e illusoria.
"Klein ha infranto metà delle regole della fotografia e ha ignorato l'altra metà"
diceva di lui Jim Lewis, sulla rivista Slate, nel 2003.
Proprio nel periodo in cui lo sguardo di un’altro grandissimo maestro, Henri Cartier-Bresson, stabiliva quelli che erano i canoni fotografici dell’epoca: “obiettività, eleganza, misura, distanza e discrezione” arrivò Klein, che ribaltava ogni tecnica fotografica di composizione e messa a fuoco, e la fotografia smise di essere obiettiva.
Con i suoi soggetti Klein interagiva, senza remora alcuna non temeva di farsi vedere, alla faccia dell’invisibilità di Bresson che si teneva a distanza, e, quasi in punta di piedi, scattava e spariva.
Lui invece era sfacciato, provocatore, tagliente.
Il suo motto era “ anything goes”, tutto va bene, tutto fa brodo.
L’ordine e la pulizia di Cartier Bresson, non gli interessavano.
"Mi piacciono le foto di Cartier-Bresson, ma non mi piace il suo insieme di regole. Così le ho invertite. Penso che la sua visione della fotografia, che deve essere obiettiva, sia una sciocchezza", affermava pur avendo - curiosamente - scattato molte delle sue foto proprio con una macchina fotografica, una Leica, comprata dal collega francese che si vantava di non sapere usar bene, sfruttando la sua ignoranza in maniera esemplare, scattando addirittura senza inquadrare, mostrando quanto in fotografia autori differenti possano dare risultati completamente diversi utilizzando lo stesso mezzo.
Negli anni ‘50 e ‘60 Klein ha ritratto in maniera totalmente innovativa New York, Roma, Mosca, Tokyo, le sue immagini erano oniriche, volti in mezzo alla folla, offuscati, macchie in movimento.
New York, nelle sue stesse parole, era la capitale mondiale dell’angoscia, e il ritratto che viene fuori dai suoi scatti è quello di una città violenta, oscura e inquietante, addirittura,il suo libro “New York” ,non fu mai pubblicato negli USA: Tutti quelli cui mostrava la foto dei due ragazzi erano disgustati, “questa non è New York, è troppo brutta, troppo squallida…questa non è fotografia, è merda!”
Il suo primo mecenate fu la rivista Vogue, che coprì le spese per scattare le sue immagini, composizioni spesso beffarde di modelli intrappolati nel traffico della Fifth avenue, o in via Veneto, o sulle strisce pedonali di Ginza, ritratti attraverso obiettivi grandangolari o teleobiettivi.
"Le mie fotografie sono per lo più parodie", ha detto. "L'intenzione era quella di mostrare quanto fossero false le pose. Ma nessuno si è lamentato. Mi sono sempre assicurato che tu potessi vedere il vestito.”
Klein fu un pioniere, nella fotografia di moda di quel periodo non si era mai visto nulla di simile, come un Fellini, di cui fu assistente alla fotografia per le Notti di Cabiria, mescolava il glamour e il grottesco.
Per un servizio di moda, ambientato nel Lower East Side di Manhattan, fece posare due modelle bianche vestite elegantemente davanti a un barbiere abbandonato, con la vetrina color malva, d'impulso chiese a un uomo di colore che lavorava lì vicino, vestito di bianco, di sedersi accanto a loro alla finestra.
Era troppo anche per i redattori di Vogue, che ritagliarono l'uomo nella versione pubblicata sulla rivista.
Troppo volgare, per gli editori, ma Klein non si faceva alcun problema ad offendere le persone, sia per strada che con le sue pubblicazioni.
Del resto, era il ragazzaccio cresciuto per strada, quello che dopo i suoi scatti per Vogue , tornava a casa e alla domanda di sua moglie: "Com'è la moda per questa stagione?" Diceva sempre: "Non ne ho idea".
Lasciandoci ineredità una vitalità e una carica che ancora sconvolgono chi si avvicina alla sua opera, lo scorso 10 settembre William Klein, a 96 anni, ci ha lasciato.
Nato due giorni prima della regina più famosa del mondo e morto due giorni dopo, William Klein è morto, Lunga vita a William Klein!
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